Forlì, 1888 – Roma, 1977
Appena tredicenne, Pietro Angelini lascia Forlì per condurre una vita d’arte che avrà tra i suoi capitoli principali Milano, Como, Ginevra, Parigi e Lione. Questi lunghi soggiorni sono intervallati da ritorni alla città natale dove partecipa, per l’amicizia che lo lega al conterraneo Giovanni Marchini, alle vicende del Cenacolo Artistico Forlivese (1920-1927). A Milano è allievo di Vittore Grubicy de Dragon che lo avvicina al clima divisionista. A Ginevra ottiene un certo successo. Parigi lo apre al clima delle grandi esposizioni e da qui raggiunge Lione dove si dedica a temi paesistici. Sempre a Lione incontra Maceo Casadei che lo affianca come collaboratore, come aveva fatto con Marchini a Forlì. Angelini e Maceo si incontreranno di nuovo a Roma nella seconda metà degli anni Trenta. Pur subendo l’influenza del movimento futurista, almeno dal 1912, Angelini rimane un pittore eclettico, dai toni lirici e in una costante fase di ricerca se pur appesantita da molteplici retaggi ottocenteschi come testimonia Carlo Carrà nella recensione della sua prima mostra personale alla “Famiglia Romagnola” di Milano nel 1925: “se vi è un pittore che gli potrebbe essere paragonato, questi è Auguste Ravier, il fido e caro compagno di Antonio Fontanesi. Infine egli è un lirico che conosce i contrasti e le trasfigurazioni del vero. Poche gocce di colore gli sono sufficienti per dargli un dato effetto atmosferico, il sentimento d’una realtà”.
Nonostante un carattere ritroso e riservato, Angelini ha partecipato per ben sette volte alla Quadriennale di Roma (1931, 1935, 1939, 1943, 1948, 1955-56, 1959-60, per sei volte alla Biennale di Venezia (1928, 1932, 1934, 1936, 1938, 1948) e ha tenuto personali a Forlì, Bologna, Piacenza e, soprattutto, a Roma.
(F.B.)
Bibliografia essenziale
arte dal VERO. Aspetti della figurazione in Romagna dal 1900 a oggi
a cura di F. Bertoni, catalogo della mostra al Centro Polivalente Gianni Isola e al Museo di San Domenico di Imola
Imola 2014
Fondi
Pinacoteca Comunale, Forlì
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Paesaggio ben riassume quella che Carrà definiva la capacità di Angelini di trovare “anche nei più minuscoli bozzetti e schizzi (…) il segno palese di un linguaggio articolato con semplicità ed eloquenza potente”. Pochi segni sintetici e macchie di colore sono sufficienti a delineare una scarna e malinconica visione quasi in bilico tra espressionismo e nuova oggettività.