Faenza, 1896 – Urbino, 1984
La famiglia di Leonardo Castellani si trasferisce, nel 1909, da Faenza a Cesena dove il padre, ebanista, viene chiamato a insegnare presso la locale Scuola Industriale. Nel 1913, lo stesso figlio Leonardo vi si diploma. Si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Firenze, stringe amicizia con Osvaldo Licini e frequenta il Corso di Scultura tenuto da Libero Andreotti. Nell’immediato dopoguerra (1919-1920) frequenta l’ambiente romano e conosce Giacomo Balla. Esegue alcune opere futuriste e di questo momentaneo interesse rimarranno i segni, se pur edulcorati da cadenze Art Nouveau e anticipazioni Déco, nelle ceramiche che produce a Cesena fino al 1923. Si dedica anche alla ceramica per l’architettura. Nel 1925 espone come pittore alla Biennale romana e nel 1926 alla Biennale di Venezia. Dopo un breve soggiorno veneziano, dove conosce Vincenzo Cardarelli, Ezra Pound (di cui esegue il ritratto) e Virgilio Guidi, nel 1928 inizia ad insegnare decorazione e ceramica a Fano, dedicandosi per la prima volta anche all’incisione, cui succede, nel 1930, il conferimento della cattedra di Calcografia presso la Scuola del Libro di Urbino. Come incisore, nel corso della sua lunga carriera, Castellani ha realizzato oltre millecinquecento lastre e ha diretto la rivista di grafica autoprodotta “Valbona”. Da ricordare sono anche i suoi interessi giornalistici, letterari e poetici che hanno trovato esito in raccolte e varie pubblicazioni del secondo dopoguerra. Tra le mostre antologiche si ricordano quelle tenute a Urbino (1976), a Faenza (1978) e a Klagenfurt (1990). Come pittore Castellani, se si esclude la parentesi cubo-futurista, è essenzialmente figurativo: solidamente novecentesco tra le due guerre e più incline a dissoluzioni della forma nel secondo dopoguerra, in consonanza con la sua grafica parimenti eterea e attenta a macchie tonali.
(F.B.)
Bibliografia essenziale
L’opera artistica e letteraria di Leonardo castellani. L’illimite lirico
a cura di F. e G. De Santi
S. Atto di Teramo 1994
Fondi
eredi Castellani, Urbino
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Il clima di restaurazione classica che presiede a Ritratto di famiglia, dove personaggi moderni sono ritratti in pose che ricordano la ritrattistica rinascimentale e in un ambiente colmo di citazioni manieriste, si tramuta, in L’atelier, in un più calcolato affondo nell’inaspettato contenuto anche nel più banale gesto quotidiano. Occultamento del personaggio principale, uno spazio vuoto e immoto, persone assorte, teatrali posizioni delle braccia e delle mani e un simbolico uso dello specchio concorrono congiuntamente a rendere misteriosa una pratica abituale.