Bagnacavallo, 1956 – 2021
Pittore dotato di rara felicità espressiva e capace di veloci, quasi subitanee, rese figurative anche dei soggetti più difficili e complessi, Claudio Montini ha partecipato a poche esposizioni collettive, in gran parte di ambito locale, è stato parimenti avaro di personali e ha messo fine alle sue presenze nel mondo dell’arte già nei primi anni Novanta. Da quasi vent’anni, trasferitosi a Faenza, dipinge occasionalmente e, sempre senza tempi obbligati, si dedica a un’opera di raffinamento delle tante opere ancora conservate in studio. Dopo essersi laureato in pittura all’Accademia di Belle Arti di Bologna, Montini partecipa a una serie di mostre collettive a Forlì, (1980), Faenza, “Biennale Giovani” (1984 e 1985) e tiene mostre personali a Cotignola (1983) e Faenza (1986). In un ambito provinciale in cui i ritorni alla figurazione dei primi anni Ottanta devono ancora riversarsi e fare sentire la propria influenza e in cui prevalgono ancora “gestualismi”, “poverismi” e “concettualismi” imbarbariti da un generale clima di laissez faire, le prime opere di Montini sono evidentemente spiazzanti e la critica fatica a introiettarle nei propri schemi. Le sue raffigurazioni sono evidentemente fantastiche (monoliti illuminati al centro di un buio bosco, pesci spada che fuoriescono in verticale da un mare in burrasca, colloqui tra animali sulle rive di un lago e fenicotteri che si stagliano di fronte a colonnati neoclassici) ma, con tecnica felicissima, queste apparizioni, anche fastose e degne di scenografie teatrali o fantascientifiche alla “Blade Runner”, appaiono credibili. I suoi riferimenti ideali vanno a maestri come Il Lorenese o, ancor più, a William Turner del quale lo attirano, ad un tempo, la resa istantanea di luci e momenti perfetti dal fascino inquietante e una tecnica capace di attrarre per apparente disinvoltura e per singolare adesione emotiva ai privilegiati soggetti naturali. Anche Montini compone, come il suo maestro ideale, fantastici enigmi e, come lui, è un eccentrico. Dopo poche altre mostre collettive e una personale a Cisterna di Latina (1990) si ritira a dimensione privata, dipingendo raramente o perfezionando. Negli anni è emersa nel suo lavoro una carica ironica, quasi favolistica, che sembra irridere alle premesse eroiche, sublimi e supreme dei suoi primi lavori e dei suoi maestri di riferimento di ambito romantico. Pochi critici si sono interessati al suo lavoro e la sua opera è in attesa non solo di considerazione ma, ancor prima, di conoscenza.
Bibliografia essenziale
arte dal VERO. Aspetti della figurazione in Romagna dal 1900 a oggi
a cura di F. Bertoni, catalogo della mostra al Centro Polivalente Gianni Isola e al Museo di San Domenico di Imola
Imola 2014
Fondi
studio dell’artista, Faenza
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Nelle due opere, Senza titolo, Montini sfoggia una esemplare capacità nel rendere il vigore plastico e le luci di un fitto bosco con pochi colori e pochi gesti (molti dei quali realizzati non mediante i pennelli ma con uno straccio imbevuto di colore). Al centro due situazioni irridenti per soggetto e contrastante realismo: un porcellino che osserva avido un gigantesco sedano e un toro dalle corna bianche che mangia un frutto. Enigmi tra irrealtà e realtà dell’immaginazione.