Dal 7 novembre 2014 fino all’8 marzo 2015.
Con la mostra “arte dal VERO” si è inteso realizzare un importante evento culturale dedicato alla vicenda delle arti figurative in Romagna dal primo Novecento ad oggi.
La cura della mostra è stata affidata a Franco Bertoni sotto la direzione di Andrea Emiliani.
Intento della mostra è stato quello di mettere in rilievo figure e momenti di un lungo percorso che ha caratterizzato una Romagna artistica segnata da una singolare e caratterizzante adesione al filone figurativo e verista: una vena carsica che ha dimostrato singolari capacità di aggiornamento fino ai giorni a noi più vicini.
Pur messa di fronte alle sollecitazioni delle avanguardie e delle neo-avanguardie, la Romagna artistica ha sotterraneamente coltivato una propria specificità che la contraddistingue, per qualità e quantità degli esempi, da altre aree geografiche e culturali italiane.
Se l’incipit di questo ingresso nella modernità è contenuto nelle parole di Dino Campana “La vita ha qui un forte senso naturalistico. Come in Spagna. Felicità di vivere in un paese senza filosofia”, non di meno va registrato che l’attenzione al vero – dal cenacolo Baccarini di Faenza ai più felici momenti figurativi forlivesi, cesenati e ravennati fino a Bertozzi e Casoni e Nicola Samorì, attualmente tra gli artisti romagnoli che godono di maggiore notorietà a livello internazionale – ha visto dipanarsi un filo in qualche modo unificante sotto il segno di una comune adesione al reale. Una via che ha saputo trovare sempre nuove forme espressive e dialogare con l’Europa e con il mondo.
Oltre a presentare una selezione di quanto espresso in Romagna per oltre un secolo dalle arti figurative, la mostra intende anche proporsi come un contributo – volutamente circoscritto e limitato – a una più generale inversione di tendenza in atto rispetto alle traiettorie generate dal vizio di base del Moderno: l’allontanarsi da un umanesimo impegnato sul concreto presente e il suo conseguente, algido, rifugiarsi nelle sfere dell’astrazione, in linguaggi formali autoreferenziali, criptici e quasi iniziatici, in enfatici manifesti e in ideologizzati programmi, in goliardiche provocazioni e, in sostanza, in una intolleranza per le esigenze umane. Binario morto per certa critica e per le sue schematizzazioni, l’arte figurativa, con la rivalutazione internazionale di tanti suoi esponenti europei ed extra-europei del Novecento, impone, ora, un’opera di riconsiderazione e di revisione storiografica.
In Romagna, forse, non sono da considerarsi episodiche le presenze concomitanti o susseguentesi di Domenico Baccarini, Gino Barbieri, Antonello Moroni, Giovanni Guerrini, Angelo Biancini, Giannetto Malmerendi, Umberto Folli, Alberto Sughi, Giovanni Cappelli, Maceo Casadei, Angelo Fabbri, Silvano D’Ambrosio, Nedo Merendi, Lucia Baldini o Angela Maltoni, solo per citarne alcuni.
Sfuggendo alla “accademia del moderno” e alla “tradizione del nuovo per il nuovo” che hanno portato al paradosso di una “avanguardia di massa”, le arti figurative in Romagna hanno inoltre confermato con forza una concezione dell’arte come un indissolubile (anche se misterioso) nesso tra poesia, visionarietà e alto sentire con precise tecniche e calcolati mezzi espressivi, secondo una definizione, in fondo, non ancora esautorata. Corollario, non trascurabile, di questo atteggiamento per troppo tempo definito come inattuale è stato il mantenimento di un rapporto con la grande tradizione dell’arte, con le sue ricerche estetiche e con il “fatto ad arte”.
Sono mille i volti e le storie di quella preda sfuggente che è il reale e gli artisti moderni e contemporanei presentati in mostra, al di là delle diverse connotazioni stilistiche e dei vari periodi storici, sono stati accomunati proprio in base a una dimostrata apertura a vedere quello che non si sospetta di vedere, a scorgere il meraviglioso e il terribile nell’ordinario e nel famigliare, a cogliere l’inaspettato nella quotidianità, a sapere sigillare, con i mezzi e le tecniche più idonee, l’istante perfetto: un momento da afferrare e preservare.
Con la collaborazione dei principali istituti museali romagnoli (Museo San Domenico di Imola; Fondazione Cassa di Risparmio di Imola; Pinacoteca comunale di Faenza; Biblioteca comunale di Faenza; Pinacoteca comunale di Forlì; Pinacoteca comunale di Cesena; Museo d’Arte della Città di Ravenna; Galleria d’Arte Contemporanea Vero Stoppioni di Santa Sofia; Museo Varoli di Cotignola; Museo civico Giuseppe Ugonia di Brisighella), di enti (Camera di Commercio di Ravenna) e con la disponibilità di collezionisti privati e degli artisti stessi, sono stati selezionati quasi 90 artisti per un totale di circa 160 opere, tra pittura, scultura, grafica e ceramica.
Le opere, esposte in mostra non secondo un criterio cronologico ma proponendo invece occasioni di rapporto e di confronto tra modernità e contemporaneità, enucleano una sorta di racconto sulla condizione umana: tra documentarismo e finzione, tra vita quotidiana e teatralità, tra ordinario e meraviglioso, tra apparenze e segreti nascosti sotto la superficie.
All’inizio del secolo scorso Faenza, tra le città romagnole, può vantare un certo primato di cui sono testimonianza le presenze di Domenico Baccarini, Giuseppe Ugonia, Domenico Rambelli, Ercole Drei, Giovanni Guerrini e Francesco Nonni: tutti artisti destinati a carriere di livello almeno nazionale nei campi della pittura, della scultura e della grafica.
Sulla loro scia si formeranno Giovanni Romagnoli e Franco Gentilini ma è con Giannetto Malmerendi e Roberto Sella che l’indagine del vero soprassiede a particolari cifre stilistiche per aprire un capitolo non ancora totalmente apprezzato.
Uno scultore come Angelo Biancini dimostra, proprio negli anni del regime fascista, una particolare sensibilità nei confronti del reale che si costituisce (tra Faenza e Laveno) come una delle punte della scultura di quegli anni.
A Forlì si può parlare di una locale scuola che, dopo Antonello Moroni, vanta i nomi di Pietro Angelini, Giovanni Marchini e Carlo Stanghellini prima di giungere alla generosità creativa di Maceo Casadei e di suoi emuli come Gino Mandolesi e Gianna Nardi Spada.
A Cesena la figura di riferimento, fin quasi alla seconda guerra mondiale, rimane Gino Barbieri, mentre a Cotignola è attivo in maniera poliforme il politecnico Luigi Varoli, dalla cui scuola sono usciti tanti artisti destinati a godere di maggiori attenzioni del comune maestro stesso (Umberto Folli, Ettore Panighi, Gaetano Giangrandi, Giulio Ruffini, Francesco Verlicchi). A Imola, Tommaso della Volpe per molto tempo è stato ingiustamente relegato a rappresentare la declinazione locale di trascorsi movimenti.
Vari e complessi sono stati i motivi per cui le avanguardie storiche e le tendenze più effrattive, pur manifestandosi anche in Romagna, non hanno qui trovato sedimentazione e rimane il fatto che la tensione figurativa rimane sempre ad alto livello.
E lo stesso si può dire per le vicende artistiche romagnole del secondo dopoguerra dove campeggiano, almeno, Alberto Sughi, Giovanni Cappelli, Umberto Folli e Mattia Moreni.
Questa persistenza ha conquistato, poi, maggiore rilevanza e notorietà a seguito dei fenomeni nazionali e internazionali che, a partire dai primi anni ottanta, hanno riconsegnato all’arte i tradizionali mezzi espressivi.
Si apre il capitolo, non certo avaro, degli artisti romagnoli contemporanei dediti alla figurazione. A Imola Bertozzi e Casoni; a Bagnacavallo Nicola Samorì; a Lugo Piero Dosi; a Castel Bolognese Alberto Mingotti; a Meldola Luca Freschi; a Ravenna Davide Reviati; a Gambettola Erich Turroni; a Cesena Federico Guerri; a Zattaglia Dioscoride Dal Monte; a Bagnacavallo Massimiliano Fabbri; a Traversara Lucia Baldini; a Faenza Nedo Merendi, Aldo Rontini, Pietro Lenzini, Claudio Montini, Danilo Melandri, Cesare Reggiani, Innokentij Fateev; a Forlì Sergio Spada, Miria Malandri, Alfonso e Nicola Vaccari, Silvano D’Ambrosio, Marco Neri, Angelo Fabbri, Ivo Gensini, Stefano Gattelli, Angela Maltoni, Enrico Lombardi, Matteo Lucca, Matteo Sbaragli, Cristiano Tassinari, e tanti altri, sono gli attuali protagonisti di una vicenda lunga un secolo e foriera di ulteriori sviluppi.